lunedì 11 marzo 2013

Sibilla e Pierina



Fra le carte e pergamene impolverate conservate nell’archivio dei signori di Angera si trovano, raccolte da un rigore positivistico in una cartella che riunisce, sarcasmo dell'alfabeto, le voci Gioco e Giustizia, le pergamene dei processi  inquisitoriali contro Sibilla e Pierina, accusate, alla fine del XIV secolo a Milano, di essere eretiche relapsae, recidive, di aver senza vergogna seguito la Signora nel Gioco lungo i Sentieri dei Morti, e per questo infine consegnate al braccio secolare per subire la pena del fuoco...
 
Sibilla. Sibilla è il mio nome, ma non ha importanza adesso, mentre spio fra i fili d’erba la danza silenziosa della Signora e delle creature felici. Appaiono e scompaiono al capriccio delle nubi sulla luna, ed il loro silenzio è una musica che scioglie il peso che mi lega a terra. Trattengo il respiro e capisco che tutto è possibile qui ed ora 


Fiele. Il mio nome non è Pierina, qui, per terra, il respiro rotto dalle bastonate di quel vigliacco ubriacone. Non sono Pierina mentre sputo il sangue quasi raggrumato e mi trascino vicino alle braci del fuoco illividito, per scoprire che non sono ancora di pietra.


lunedì 4 febbraio 2013

Batte il cuore come un tamburo... di pistola


Nei film dei cowboy funzionava sempre.
Una fila di bottiglie allineate lungo un tavolaccio o una staccionata: il bersaglio perfetto per allenarsi con la pistola. Bum! Bum! Bum! E il ragazzino brufoloso assetato di vendetta conquistava una mira infallibile, l’imbranato del villaggio si trasformava in un pistolero formidabile.
Le bottiglie vuote tutte in fila sulla tavola, la festa ormai finita: eccoli lì tutti i bersagli che le servivano per imparare a sparare come si deve. Scostò una ciocca di capelli dagli occhi, divaricò leggermente le gambe, fasciate dal vestito a fiori della domenica, e bilanciando meglio il peso del corpo allungò davanti a sé le braccia magre, saggiando il peso della pistola, sentendolo crescere tra le mani strette, dalle nocche sbiancate.
Respirando piano dalle labbra socchiuse, si concentrò su una bottiglia di Merlot, sovrapponendo al sottile collo di vetro quel viso che avrebbe volentieri fatto saltare come un tappo di sughero. Senza abbassare la pistola, ripensò a come tutto era cambiato da quando lui era entrato nella sua vita: le urla continue, la prepotenza... e quelle mani appiccicose che le metteva dappertutto... Pensò anche a come si era ritrovata sola, messa in un angolo, costretta a fingere di amarlo...
Tutto il suo corpo tremava ora attraversato dalla tensione del dito sul grilletto.
“Martinaaaaa?!” La voce della mamma mandò in pezzi quel sogno ad occhi aperti, le dita strette a mimare la pistola si sciolsero seguendo le mani lungo i fianchi. “Hai finito di sparecchiare là fuori?”.
La ragazzina tirò un respiro profondo: prima di voltarsi verso la finestra cui si affacciava la madre, atteggiò le labbra ad un sorriso a trentadue denti che rivolse sorniona al fratellino, mollemente accoccolato tra le braccia della mamma, impegnato a succhiarsi vigorosamente una manina bavosa.
Il mezzogiorno di fuoco era solo rimandato.

mercoledì 23 maggio 2012

Respiri a fondo e dica 33


Da quando era in pensione, per nulla al mondo il dott. Pierpaolo Bellotti - dottor professor esimio luminare discendente di Esculapio - si sarebbe perso il convegno annuale internazionale "We are all doctors", organizzato in location prestigiose, ma soprattutto frequentato da giovani medici ambiziosi e di belle speranze per aggiornarsi e agguantare importanti occasioni professionali. A settant'otto anni suonati non erano certo le opportunità professionali ad interessare il Bellotti, quanto la possibilità di avvicinare qualche bella giovane dottoressa che scambiasse lui per un'opportunità di fare carriera. Certo, pur essendo aficionado dell'evento, non gli era ancora riuscito di portarsi a letto un medico in gonnella, ma la speranza è l'ultima a morire e negli anni non erano mancate toccatine, palpeggiamenti e strizzatine che - pur a costo di gran sberloni e risposte indignate - permettevano di rianimare di volta in volta le aspettative. E certo il dottor Bellotti non aveva bisogno di iniezioni di autostima, appollaiato sullo sgabello del bar - in posizione logisticamente studiata all'incrocio dei flussi di convegnisti che passavano da una sala all'altra, dal workshop sulle strategie riabilitative del velopendulo al meeting dedicato all'impiego della serotonina come cura palliativa per le emorroidi - dove, mentre si sistemava lo psichedelico papillon, sbirciava le più procaci convegniste. Non si deve però pensare che per PPB tutte le specializzande avessero la stessa carica erotica: da esperto del settore era ben attento a tenersi lontano da Dietologhe - paranoiche anoressiche - Proctologhe - lesbiche con tendenze sadiche - e Geriatre -  incapaci di abbandonare l'occhio clinico. Aveva quindi escogitato un sistema semplice e sicuro di diagnosi per distinguere le giovani dottoresse e le loro specifiche competenze: bastava un'occhiata alle 24ore da convegno che portavano orgogliosamente a tracolla, riportanti per ognuna il motto della Facoltà di Medicina cui erano affiliate. Ecco quindi arrivare una magnifica chioma leonina, un sorriso aperto, un petto prorompente sottolineato da splendide lentiggini color ruggine: "Every breath you take" lesse scrupolosamente il Bellotti sulla borsa della giovane donna medico e sudando cominciò a pensare: "Ecco un meraviglioso esemplare di Pneumologa e infatti...che bei polmoni! Una controllatina ci vorrebbe, verificare la pressione con un tocco da esperto...!". Il vecchio professore ondeggiò sul suo sgabello scosso dall'extrasistole provocata dalla grande eccitazione, ma intanto la pneumologa era passata senza degnarlo di uno sguardo. Non appena la vista si fece meno appannata, il medico poté scorgere una burrosa bellezza, bionda e morbida quasi fosse fatta di panna, avanzare nella sua direzione. "The first breath you take" era la scritta che capeggiava sulla sua borsa: "Perfetto, perfetto. Uno schianto di Ostetrica. Una donna che ha tanto da insegnare...oh sì....voglio tornare alle origini, rientrare là dove tutto ha avuto inizio...!". Ora il Bellotti sbavava in modo indecente e si sentiva attraversato da scosse come tanti piccoli aghi. "E' l'amore che ritorna", pensava, proprio mentre vide avvicinarsi una bellissima ragazza dall'incarnato di porcellana, splendidi capelli neri ad incorniciarle il viso e due polpose labbra di ciliegia, pronte a schiudersi solo per lui. Non si era ancora spenta l'ultima sinapsi di questo peccaminoso pensiero che Pierpaolo Bellotti si accasciò a terra, fulminato da un infarto miocardico acuto. Subito la giovane si chinò sul vecchio medico per soccorrerlo, incurante della borsa che, scivolando a terra,rivelava il logo della sua facoltà di specializzazione: "Breath, no more" - Anatomopatologia.

I want to die young but it's too late

Il Pizzetti giaceva inerte sulla moquette, la lettera in una mano e l'aspiarapolvere abbandonata al suo fianco che rombava furiosa. Provvidenzialmente riaprì gli occhi proprio nell'istante in cui sua madre incombeva su di lui in vestaglia leopardata e tripudio di bigodini, brandendo con foga la cannuccia di una bic, pronta ad una casalinga quanto salvifica tracheotomia, eseguita in base a quanto appreso nell'ultima puntata di "Doctor for a day". Per un attimo pensò di non reagire e andare incontro con sconosciuto coraggio alla materna soluzione finale e porre così fine ad una routine fatta di serate passate in casa a sfogliare "Tanatoprassi oggi", ma le parole della lettera lo riscossero con una salvifica botta di adrenalina. Balzò quindi in piedi, con una mossa alla Hulk Hogan si scrollò di dosso i 95 kg di compatta sollecitudine della genitrice, si sistemò gli occhialetti tondi sul naso e corse verso la soffitta all'urlo belluino di "Rock never dies!", travolgendo senza curarsene aspirapolvere - gatto - tavolinoconbicchierecondentieradimamma - pastorello di capodimonte con gregge al completo e sbattendosi la porta alle spalle. Un silenzio da preludio di catastrofe si abbatté sull'appartamento e sulla mamma del Pizzetti che rimaneva schienata come una tartaruga gigante, boccheggiando incredula...fino a che la casa intera fu scossa dal rullo della batteria.

...continua...

martedì 8 maggio 2012

Blues del servizio postale

Il destino aveva deciso di stare al gioco. Si divertì così a regolare sapientemente gli arrugginiti ingranaggi del servizio postale - piccole cose, in verità: doppia dose di caffè all'addetto allo smistamento narcolettico, un simpatico schnauzer alle calcagna del postino meno solerte, morbillo fulminante per la portinaia impicciona che s'imbosca la posta... - per far sì che ciascun esemplare della lettera - scritta in elegante grafia e sigillata in busta seppiata rettangolare - arrivasse nelle mani di ciascun destinatario nello stesso momento e nel medesimo istante, nelle diverse parti del globo, venisse letta. 
Fu così che gli occhietti miopi ed esoftalmici di Carlo Pizzetti - che gli amici una volta chiamavano Fish - si spalancarono stupefatti mentre il cuore mancava un colpo, proprio mentre Pierpaolo Zanchi - un tempo per tutti lo Zippo - quasi si strozzava con la sua caramella al muschio islandese soffocando una bestemmia a mezzavoce, nell'attimo stesso in cui Giulio Barlocco - mio padre, che nei suoi anni d'oro tutti conoscevano come il Perla - iniziava a sudare copiosamente incollandosi alla poltrona di cuoio strategicamente posizionata davanti alla TV ora ignorata. 
Solo una busta rimase sigillata, abbandonata muta nella cassetta già piena di volantini strillanti vecchie promozioni: Giuseppina Pigliafreddo - la strepitosa Ice Scream dalle lunghe gambe e dalla voce di miele e schegge di vetro - non sarebbe più tornata a casa per aprirla e stupirsi. Ma la lettera ancora non lo sapeva.

...continua...  

venerdì 20 aprile 2012

Mauerpark by night

La mia mamma me l'aveva detto: "quello non ha mica l'aria di uno tanto a posto". "Quello" è il mio moroso, quello stesso che adesso mi fissa con occhi allucinati attraverso la pioggia battente qui nella desolazione più totale in Mauerpark. Uno sguardo da far accapponare la pelle, omicida: Jack Nicholson alias Jack Torrance, gli fa una pippa. Wendy? No, non c'è nessuno qui in questo maledetto parco abbandonato da dio e dagli uomini, spazzato da un vento siberiano. Romantico, davvero. Romantico alla Marilyn Manson. Ma in fondo è anche colpa mia se siamo finiti qui. Qui sotto questo monsone artico, tagliuzzati dagli artigli di un vento gelido e prepotente, nel buio di un parco che non è nulla più che campi brulli concimati a cocci di vetro e spazzatura. Potremmo essere gli ultimi uomini sulla faccia della terra... e sarebbe sempre meglio essere soli, piuttosto che in balia degli elementi e di qualche pazzo maniaco pronto a balzare dai radi cespugli che costeggiano la stradina che taglia il parco da un lato di nulla ad un altro. Ma perché divagare su minacce immaginarie quando "Quello" è pronto a strozzarmi? Meglio focalizzarmi sulla mia unica, ingenua, piccola colpa: essermi fidata! Certo, perché basta che uno si mostri un po' carino e coccoloso, mi abbindoli con le sue storie sulla DDR e gli anni crudeli del muro, quindi sfoderi degli occhioni da cucciolo che mi guarda implorante chiedendomi: "potrebbe essere interessante fare due passi in Mauerpark, che dici?". E io, che dico? Mica posso fare la stronza egoista, quella che preferirebbe andarsi a bere una cioccolata e rotolare sotto il caldo piumone dell'albergo. Neppure voglio fare la parte della tabbozza ignorante, quella che si è rotta di tutti 'sti ruderi di cemento stile postmoderno comunista. Ma soprattutto non voglio fare la lagna, la mezzacalzetta che piagnucola per un po' di pioggia (praticamente piovono rane!). E' quindi è con entusiasmo che rispondo che muoio dalla voglia di andare in Mauerpark, meta che anche la Lonely si guarda bene dal consigliare come imperdibile. Sono tutta intirizzita, labbra e dita blu, i piedi ormai in cancrena per il freddo, ma sorriso a trentadue denti, mi incammino nella tempesta senza mostrare segni di cedimenti: vuole vedere Mauerpark? Bene! Si va a vedere Mauerpark! Potevo immaginare che conoscendomi fin troppo bene stava sfruttando la mia psicologia da criceto? Potevo io tapina sospettare che mi stavo allegramente infilando nella tana del lupo? Ma lo sguardo di fuoco che ha ora il mio moroso infeltrito, cancella ogni dubbio: vi è un odio atavico e viscerale nei suoi occhi. Solo una cosa ancora mi domando: se davvero voleva liberarsi di me, perché architettare tutta questa complessa messinscena? Il lungo tragitto in un tram popolato solo da loschi figuri, la marcia serrata lungo le strade deserte sferzate dal blizzard, il continuo chiedermi se non preferissi tornare indietro... ma lui è un cinefilo, avrà pensato alla location adatta... ecco cosa mancava alla mia collezione: uno psicopatico esteta con velleità scenografiche!
Le mie elucubrazioni sono interrotte improvvisamente da un ritmico cigolio in avvicinamento: dio ti ringrazio, un ciclista! Alla Rat-Man fletto i muscoli e sono pronta allo scatto: punto a balzare sul portapacchi e salvarmi così la pelle fuggendo come clandestina a bordo della due ruote. Un'illuminazione agghiacciante mi colpisce però all'improvviso: quale creatura può fischiettare pedalando serena nel bel mezzo dell'Armageddon? A volte la cura può essere peggiore del male: scelgo di affrontare il mio moroso, almeno lui sono sicura che è vulnerabile ai calci volanti all'inguine e al sarcasmo sapientemente affilato. E così a muso duro gli chiedo se gli è piaciuta la gita a Mauerpark. Vedo il suo viso contrarsi in spasmi orrendi, passare dall'ira alla disperazione, inabissarsi nella nera follia per poi quasi sciogliersi in pianto... a fatica trova il fiato per rispondermi con poche parole stentate, una vena gli pulsa convulsamente sulla tempia bagnata: "ma...ma...sei tu che ci volevi venire qui...io... la pioggia, il vento...questo maledetto parco buio e abbandonato...ma a me che mi frega del muro?! io... sto morendo di freddo!"
Lo guardo ed è come se lo vedessi per la prima volta: forse è l'incarnato grigiastro dato dalla tisi che si è preso in questa passeggiata in mezzo alla tormenta...o forse è... è la consapevolezza di essermi comportata come una pazza... o così mi suggeriscono le vocine nella mia testa...   

venerdì 16 marzo 2012

L'incontro

Il primo trillo del citofono polverizzò la nuvola rosa della mia fase REM, cancellando gli erotici ed alcolici sognoricordi della notte prima e catapultandomi tra le lenzuola stropicciate del letto del mio moroso che con pacifica bestialità continuava a russare in beatbox. Il secondo trillo, decisamente più lungo e meno amichevole, mi fece rimbalzare fuori dal materasso e precipitarmi, calpestando dolorosamente le macerie della festa della sera prima disseminate per il pavimento, a scrutare il video in cerca della risposta a una delle domande ataviche dell'uomo: "Chi caxxo rompe all'alba la domenica mattina?". Dalle brume lattee del videocitofono, rese ancora più nebulose dai miei occhi cisposi e miopi, piano piano affiorò un enorme occhio che scrutava senza battere ciglio: era l'occhio fiammeggiante di Sauron in cima alla Torre Oscura, lo sguardo senza perdono che insegue Caino attraverso i Paesi e i secoli: il bulbo oculare appartenente alla madre della  mia dolce e dormiente metà. Non ci eravamo mai incontrate, ma io sapevo tutto di lei...e ne avevo un terrore folle! Fissavo impietrita quello sguardo da rapace che mi aveva ipnotizzato: solo una parte del mio cervello era vagamente consapevole del trascorrere del tempo e delle sue conseguenze, ma l'ennesimo trillo imperioso del citofono mi riportò alla realtà. Mi guardai intorno: caos e devastazione post party, ma soprattutto, nessun indizio su dove fossero finiti i miei vestiti. Dall'uomo di Cro-Magnon che giaceva privo di conoscenza tra le lenzuola con la bavetta alla bocca non poteva certo venire nessun aiuto. Non rimaneva che una cosa da fare: la tecnica dell'opossum! Fingersi morti era l'unica via di uscita possibile, considerando che mi trovavo in un monolocale stile panicroom senza terrazzo e senza nascondigli. Trattenni il respiro e ad occhi chiusi iniziai a farfugliare le preghiere dell'infanzia, fino a quando trovai il coraggio di spiare di nuovo nel citofono: la strada era sgombra, l'assedio era stato tolto, un miracolo! Non feci in tempo ad esultare che bussarono alla porta e ogni mia speranza venne spazzata via da un ululato: "Tesorinoooooooo?".